giovedì 13 gennaio 2011

L'Elvira scaldaletti


L'Elvira infilava il prete a letto sotto le coltri del paglione coniugale e poi andava lei a scaldare il letto del prete. Suo marito, dopo che si era bevuto un pistone di torchiatura, rovinava fra le lenzuola di linone, secche e crocchianti per via del pretaletto, che gli portavano in pressione il sangue. Ronfando lui sognava di tini e botti e covoni di grano e fieno grasso per il latte delle vacche, e scoreggiava ogni tanto per temperar l'ambiente, mentre lei scivolava in canonica con le pantofole di feltro a confondere la sua sottana nera a pieghe con quella altrettanto austera di Don Tavella, Baldo di nome e disotto, emendando ogni volta sensi di colpa e pentimenti con il viatico di un egoteabsolvo... 
Perché invecchiando l'Elvira avesse cominciato a raccogliere scaldini da letto di ferro arrugginito, col manico in legno e tre piedi, nessuno l'aveva mai capito tranne Don Baldo e, forse, il marito. Li impilava nella grande cucina, a impolverarsi con la cenere del camino. Usarli non li usava più da un pezzo, il marito oramai sarebbe andato in catalessi anche in un sarcofago di ghiaccio. Le ricordavano quei totem qualcosa che un tempo la teneva ben sveglia, le imporporava le gote, le rubava il respiro, le rallentava i battiti del cuore e glieli accelerava e le chiudeva le palpebre per rovesciarle gli occhi su pianeti colorati e nuvole rosate e lampi di luce e bui improvvisi e caldi profondi che odoravano d'incenso...

Nessun commento:

Posta un commento