giovedì 27 gennaio 2011

E i bambini a grattugiare il parmigiano!

Di questi due stampini per cappelletti alla parmigiana uno (quello dal colore più scuro) è appartenuto a mia bisnonna Ida e mia madre lo usa ancora oggi. L’altro è una perfetta copia dell’originale, il legno di ciliegio è ancora al naturale ma la brava rezdora (come si dice a Parma) con l’uso a contatto con sfoglia e ripieno, quindi con uova farina stracotto e parmigiano, saprà fargli prendere un bel colore caldo e un’invitante patina. Tempo fa, curiosando in una stradina nel centro storico di Bologna, una di quelle un po’ curvate che non te ne lasciano intravvedere la fine, ho scoperto un anziano tornitore del legno, capelli bianchi di polvere di segatura, e gli ho fatto riprodurre diverse copie dello stampino, così, per star sicuri d’averne, ora che li posso usare, invece di stare sempre a grattugiare chili di Parmigiano... 
Il ripieno per i cappelletti di mia madre
g 800 polpa di manzo
g 400 polpa di maiale
g 200 petto di pollo
g 450  cipolle bianche   
g 250  burro                   
g 300  pangrattato        
g 700  parmigiano grattugiato      
12 uova 
1 cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro
1 bicchiere di acqua
brodo di carne (se necessario)
sale q.b.                   
Tritare finemente le cipolle, brasarle nel burro, aggiungere la carne e ricoprire la casseruola col suo coperchio. Rosolare lentamente, a fuoco molto basso,  girando la carne di tanto in tanto controllando che non si attacchi al fondo (se necessario aggiungere un poco di brodo durante la cottura). Dopo ca. 5-6 ore aggiungere un cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro diluito in un bicchiere d’acqua con sale. Continuare la cottura per un totale di ca. 10 ore, fino a stracuocere la carne.
Togliere la carne e tritarla molto finemente riducendola in poltiglia. Lasciare raffreddare il sugo poi metterlo in frigorifero per far rapprendere sulla superficie il grasso che andrà eliminato.
Rimettere il sugo sul fuoco e, quando sarà bollente, scottarci il pangrattato,  aggiungendone via via tanto quanto ne assorbe il condimento. Una volta raffreddato aggiungere la carne tritata, il parmigiano, noce moscata (a gusto) e le uova. Mescolare molto bene, impastando anche con le mani.
Aggiungere sale e noce moscata se necessari.
Se non viene utilizzato tutto subito il ripieno si può dividere in porzioni e mettere sottovuoto. In freezer si conserva a lungo.

Il quaderno di Camastra


Camastra, 12 dicembre 1932. Anno X dell'Era Fascista. 
Io mi chiamo Incardona Rosa, conto 10 anni e frequento la classe quarta. Nacqui a Camastra nel 1922 quando contava 3.050 abitanti che io non li ho contati , un paese collocato in una fertile pianura, con attorno i monti Castellaccio, Mintina e Badia, a 20 km dalla "Valle dei Templi" di Agrigento, provincia di Agrigento, non lontano dalle spiagge del mare, il 12 marzo 1923 e precisamente nel mese in cui doveva entrare il caldo e primaverino sole.
Io ho gli occhi e i capelli castani e li porto tagliati alla bebè, sono snella e di statura regolare, non ho difetti fisici sebbene corro sempre. Tutti mi dicono che sono bella in faccia, ma io guardandomi allo specchio mi sembra di essere brutta e anche bruna. Mi dicono anche che sono intelligente; sono studiosa: infatti so dire sempre le lezioni alla maestra, rado quando non le so dire. E' vero che sono intelligente, ma sono un po' cocciutella, perché non voglio molto lavorare, ma voglio lavorare solo a studiare, ma non è giusto nemmeno, perché Iddio ci ha messo al mondo per lavorare non solo a studiare, ma per fare anche tutti gli altri utili lavori per essere una degna figlia dell'Italia, una Piccola Italiana.
La mia famiglia è composta di 7 persone: il babbo, la mamma, due fratelli, due sorelle, ed io. Il babbo fa il feudatario nel latifondo ed è tanto buono, la mamma bada a fare i servizi di casa; il fratello più grande, di nome Filippo, lavora pure, il suo lavoro è quello di studiare; l'altro di nome Giuseppino è piccolo, e perciò il suo lavoro è il giuoco; la sorellina più piccola di me, di nome Carmelina, lavora studiando, ricamando e un po' giuocando; l'altra più piccola ancora di nome Lillì lavora ricamando e giuocando; anche io lavoro, ed il mio lavoro è quello di studiare delle lezioni che mi assegna la mia cara e buona maestra, in modo da rendere la mia testolina ricca di tante belle e utili cognizioni, ma il mio lavoro è anche un poco giuocare. Io spero di essere promossa, a fare contenti i miei carissimi genitori che hanno fatto tanto spesa per mandarmi a scuola, ed anche la maestra. La mamma mia si chiama Soldano Laura. Conta 35 anni ed è quindi giovanissima. Essa ha gli occhi castani e i capelli neri, è di statura regolare ed è sorella. Essa è buona e intelligente, nacque a Camastra il 4 gennaio 1898. Quanti e quanti servizii fa la mamma mia! Essa mi rattoppa i vestitini che io strappo, me li lava e me li stira con tutta la sua santa pazienza; e quando ritorno dalla scuola mi fa trovare la casa pulita e ordinata. Tutti siamo obbligati a ubbidire la mamma; e chi non le ubbidisce commette un grave peccato, perché significa che non osserva il quarto comandamento della legge di Dio. Come è brutto non avere la mamma! Una casa senza la mamma sembra come un giardino sfiorito ed i figli uccellini sperduti, invece una casa allietata dalla mamma sembra tutto fiorito. La mia casa è esposta al sole di mezzodì, in via Incardona, numero nove, posta in un piccolo cortiletto. La mia casa ha due vani, in una vi è una finestra grandetta, un comò, un tavolo di forma rotonda dove io faccio i compiti ed alcune sedie. Poi vi è una porta che la divide. Nella altra casa vi è un finestrino, alcune sedie, il letto dei miei genitori, un comò e un comodino. Poi vi è una casa alta ove vi è il letto mio, delle mie sorelle, dei miei fratelli e di mia nonna; vi sono ancora due finestrini e un tavolino lungo lungo con tanti libri del mio caro babbo. Io amo la mia casa, essa mi sembra una badia. Il mese di dicembre mi piace molto, perché vi sono tre feste e sono: L'Immacolata, Santa Lucia e Natale. L'Immacolata ricorre lo 8 dicembre, in questo giorno si fa una grande festa. Il simulacro dell'Immacolata, accompagnato dalla popolazione e dalla banda musicale del paese che è composta da 30 bandisti, lo conducono per tutte le vie del paese, ma principalmente dalla Chiesa Madre e lungo il Corso Vittorio Veneto fino al Municipio, tutti illuminati dalle illuminarie, che è come se fosse proprio lei la Madonna invece è una statua che le mandano baci e lanciano fiori bianchi e offerte di danaro che per i più abbienti non pesa nulla perché è di cartamoneta. Gesù la volle fare nascere senza peccato perché doveva essere la madre di Egli. La festa dell’Immacolata Concezione di Maria SS. si celebra l’otto dicembre e in occasione si offre li Muffuletta, che sarebbero panini con dentro semi di anice. S. Lucia era una giovanissima persona, amava tanto il Creatore del Cielo e della terra, intanto il governatore la voleva costringere ad adorare tanti dei e la gettarono in una caldaia di olio caldo e gli hanno tirato gli occhi! Essa era tanto bella ma più bella di lei erano i suoi occhi, che l'aveva neri come l'ebano e lucenti come le stelle. Noi questa santa l'adoriamo molto perché ci fa stare bene gli occhi. Natale ricorre il 25 dicembre. Il 24 dicembre, invece, è la vigilia di Natale, in occasione si prepara il cappone ripieno per l’indomani, e i dolci tipici che si fanno per Natale come per esempio: i biscotti ricci preparati con le mandorle, i cannoli al forno e i cosiddetti Mastazzoli, preparati con: carrubbe, fichi secchi, bucce di arance e mandarini, vino cotto, mandorle e farina. E' una festa di auguri. Natale ricorda quando nasce il Redentore. Nel mese di dicembre vi sono poche frutta, ma sono però gustosi perché sono gli ultimi: e sono le arance, i limoni, le mele, ecc. Vi sono frutta secche e sono: le noci, le carrubbe, le mandorle, i fichi, ecc.
Natale è una festa di augurî, religiosa, bella. A Natale nacque il nostro buon e povero Redentore. Egli ha voluto nascere povero in una piccola e misera mangiatoia per insegnare a noi a non disprezzare i poveri e a non lamentarsi. Egli poteva nascere ricchissimo, in un magnifico palazzo, ma è voluto nascere così per questo. Natale è la festa della pace e dell'amore: Infatti tutte le persone che sono state in lite, in quel giorno fanno la pace e mangiano insieme cibi più squisiti ancora. Nel giorno di Natale quando usciamo sentiamo un dolce profumo. Per la festa di Natale si mangiano cibi di più e più squisiti delle altre feste. Nel giorno di Natale siamo più allegri e giuochiamo molto. Ma mi piace anche la festa del Santo Patrono San Biagio protettore del mal di gola, che era un medico armeno che a causa della sua professione, di fede, venne imprigionato e decapitato dai romani nel 316 dopo Cristo, ma questa festa è un altro mese, che si celebra in settembre.

1900-2010: La Kodak Brownie Box Camera ha compiuto110 anni


Nel 1898 George Eastman, fondatore della Eastman Kodak Company,  convocò  Frank Brownell, suo progettista di apparecchi fotografici, e gli disse: Bisogna fare in modo che più gente, anche i bambini e le giovinette, possa avvicinarsi e appassionarsi alla fotografia così da incrementare la vendita delle mie pellicole. Si ingegni dunque di progettarmi un apparecchio che sia il più semplice e il meno costoso mai realizzato, che sia portatile, piccolo, maneggevole e, soprattutto, affidabile. Brownell si ripresentò con una scatoletta nera in legno ricoperto di cartoncino similpelle di cm. 8X14,5x11 pesante poco più di 400 grammi che la Eastman Kodak mise in vendita nel febbraio del 1900 a soli 2 dollari. George Eastman ne predispose il lancio sul mercato battezzandola Brownie Camera, giocando apparentemente sul vezzeggiativo derivato dal cognome del progettista ma evocando in modo palese i Brownies, protagonisti di una fortunata serie di storie illustrate che, fra la fine dell’ottocento e i primi del novecento raggiunse una tale popolarità nel continente nord americano da divenire un fenomeno commerciale con una ricca varietà di merchandising che contemplava giochi, album per disegni, cartoline, bambolotti e pupazzi, calendari, piatti e scodelle per bambini, e un’infinità di altri oggetti, oltre a due messe in scena teatrali. I Brownies in origine sono folletti benigni della mitologia celtica delle Highland scozzesi alle cui storie, raccontategli dalla nonna, si ispirò l’illustratore canadese Palmer Cox per disegnare le creature della sua straordinaria saga. Eastman adottò  spregiudicatamente questo brand per pubblicizzare il suo nuovo apparecchio fotografico, utilizzando come testimonial i personaggi creati da Cox e, a dispetto della politica aggressiva della propria compagnia a tutela  di  copyrights e brevetti,  a Palmer Cox non venne mai riconosciuto alcun compenso per l’uso commerciale delle sue creazioni. I rivenditori Kodak si convinsero rapidamente sulla bontà del business perché i primi risultati della massiccia campagna pubblicitaria si fecero sentire rapidamente costringendoli a rinnovare frequentemente gli ordini dei nuovi apparecchi che venivano proposti nelle vetrine affiancati da pupazzi alti un metro che riproducevano i Brownie. Il genio commerciale di Eastman seppe creare un mercato che non esisteva prima! Il basso costo e la semplicità d’uso delle Brownies avrebbe comportato un repentino incremento delle vendite delle pellicole e invogliato e indirizzato i consumatori anche all’acquisto di apparecchi Kodak ben più complessi e costosi. Il successo delle sue macchinette popolari  fu straordinariamente duraturo. All’epoca si diceva che i primi diffusori delle Kodak Brownies furono zie e zii felici di avere individuato un regalo di sicuro effetto. Per i successivi 80 anni il nome “Brownie”, che ha denominato ininterrottamente dal primo modello in cartone pressato e legno del 1900 fino alla pocket camera in plastica del 1980 per circa 100 differenti modelli, fu sinonimo di fotografia popolare e numerose generazioni di famosi fotografi devono proprio a queste macchinette la scoperta della propria passione per l’arte della fotografia.

mercoledì 19 gennaio 2011

La gelatiera di Procope

Il mio gelato di zucca gialla
Ingredienti:
300 g di polpa di zucca gialla 
3 rossi d'uovo
75 g di zucchero
80 ml di sciroppo d'acero
300 ml di panna da montare
2 pizzichi di noce moscata
alcune gocce di estratto di vaniglia (altrimenti 1 bustina di vanillina in polvere)
Preparazione:
Tagliate la zucca in tranci grossi e, senza togliere i semi, adagiateli sulla scorza su una placca da forno ricoperta di cartaforno e cuoceteli fino a vederli caramellizzati all’esterno.
Eliminate i semi, la pellicola che si sarà formata sui lati tagliati, la scorza e passate la polpa al setaccio fine.
In una terrina, montate i rossi d'uovo con lo zucchero fino a quando non saranno diventati bianchi e spumosi. Gradualmente aggiungete lo sciroppo d'acero e poi la polpa della zucca amalgamando bene con la frusta e la spatola. Trasferite il composto in una terrina capiente. Nel frattempo montate la panna con la noce moscata e la vanillina. Incorporate la panna nella polpa di zucca con la spatola, delicatamente per non smontarla. Versate il composto nella gelatiera attenendovi alle istruzioni  dell’apparecchio.
Con una gelatiera antica come quella dell’immagine bisogna avere molta pazienza,  immergendo il cestello interno col composto in abbondante ghiaccio tritato amalgamato con sale grosso, smanettando a lungo e con regolarità, ma quando estrarrete il gelato vi sentirete Procopio Coltelli.
In mancanza di gelatiera, versate il composto in uno stampo adatto al freezer riponendolo a congelare per circa 4 ore. Poi estraetelo, frullatelo nel Bimby (o in un normale frullatore) e rimettetelo in freezer fino al momento di servire. Frammentandone la cristallizzazione in questo modo si evita che il gelato diventi un unico blocco di ghiaccio. 
Servire, colando sul gelato qualche goccia di aceto balsamico tradizionale di Modena o uno sciroppo di vostro gradimento: ribes, narsharab (melograno selvatico), di carrube,...

giovedì 13 gennaio 2011

L'Elvira scaldaletti


L'Elvira infilava il prete a letto sotto le coltri del paglione coniugale e poi andava lei a scaldare il letto del prete. Suo marito, dopo che si era bevuto un pistone di torchiatura, rovinava fra le lenzuola di linone, secche e crocchianti per via del pretaletto, che gli portavano in pressione il sangue. Ronfando lui sognava di tini e botti e covoni di grano e fieno grasso per il latte delle vacche, e scoreggiava ogni tanto per temperar l'ambiente, mentre lei scivolava in canonica con le pantofole di feltro a confondere la sua sottana nera a pieghe con quella altrettanto austera di Don Tavella, Baldo di nome e disotto, emendando ogni volta sensi di colpa e pentimenti con il viatico di un egoteabsolvo... 
Perché invecchiando l'Elvira avesse cominciato a raccogliere scaldini da letto di ferro arrugginito, col manico in legno e tre piedi, nessuno l'aveva mai capito tranne Don Baldo e, forse, il marito. Li impilava nella grande cucina, a impolverarsi con la cenere del camino. Usarli non li usava più da un pezzo, il marito oramai sarebbe andato in catalessi anche in un sarcofago di ghiaccio. Le ricordavano quei totem qualcosa che un tempo la teneva ben sveglia, le imporporava le gote, le rubava il respiro, le rallentava i battiti del cuore e glieli accelerava e le chiudeva le palpebre per rovesciarle gli occhi su pianeti colorati e nuvole rosate e lampi di luce e bui improvvisi e caldi profondi che odoravano d'incenso...