Questo
non è un saggio, non avrei i titoli neanche per un saggetto, ma un “invito
all'assaggio”, un atto di devozione anarco-letteraria verso un autore che a ogni
rilettura è capace di sorprendere la mia fantasia.
Profondamente colto, anticonformista, contestatore ante litteram,
campione tenace dell'anarchismo letterario, José Oswald de Souza Andrade fu
poeta, drammaturgo ma soprattutto narratore fra i più grandi e innovativi della
letteratura brasiliana del novecento. Fu anche autore di acrobatici saggi
anti-filosofici, La crisi della filosofia messianica, dove scompaginava
e ricomponeva a suo modo marxismo, psicanalisi e neopositivismo, e di teorie
letterarie evolutive del modernismo brasiliano, Manifesto Antropofago,
in cui propugnava il ritorno della cultura del suo paese a una ideale purezza tropicalista
precedente l'arrivo dei conquistatori europei (“Prima che i portoghesi
scoprissero il Brasile, il Brasile aveva scoperto la felicità”).
Oswald de Andrade sicuramente raggiunge i gradini più alti della sua
creatività in due opere narrative di difficile collocazione perché buttano
all’aria le sbarre di confine fra prosa e poesia, dapprima con Memorie
sentimentali di Giovanni Miramare (terminato nel 1923 e pubblicato nel
1924) poi con Serafino Ponte Grande “scritto dal 1929 (era di Wall
Street e Cristo) all'indietro” e pubblicato nel 1933. Forse però, l'apice della
sua creazione fu la sua stessa vita, vissuta fino in fondo come un romanzo
frammentato in stazioni disperse su vari continenti da un vento irrazionale.
Così Giuseppe Ungaretti (che già aveva tradotto la sua raccolta di
poesie Pau Brasil, Legno Brasile) scriveva nella sua prefazione a Memorie
Sentimentali (prefazione che da sola varrebbe la riedizione del volume):
“Non so quale fosse la sposa che aveva impalmato in quei giorni, settima,
undicesima oppure ventunesima. Non ebbero più donne Abramo, né Matusalemme né
Noè messi insieme, che devono averne godute moltitudini per popolare o
ripopolare questo pianetaccio, a differenza del povero Adamo che combinò tutto
con la sola povera Eva, guai o miracoli che fossero, dipende dai pareri. Tra la
moglie bambina e un quadro recente di Picasso che si baloccava tra le braccia,
raccontava storie dell'altro mondo, un po' come fosse il Padre Eterno o il suo
rivale da girarrosto. Aveva vissuto a Parigi, nababbo, non rastaquero (1), e
vi aveva scoperto tutto, annusato tutte le puzze e tutti gli olezzi, fino al
collo ficcato in tutte le trappole, uscendone indenne e bobo da bravo
illusionista. Non aveva riportato in Brasile, sposa, come succedeva allora al
sudamericano pingue di moneta quanto di corpo, la femmina che l'aveva adescato
chissà in quale lupanare di Lutezia, carnosa, di connotati correggeschi già
stuzzicante di libidine dal fugace adocchio.”
Giovanni Miramare ci attira in un labirinto
epico in prosa e in versi, un'opera rivoluzionaria e provocatoria nella forma e
nei molti linguaggi adottati, sarcasticamente inquadrata così nelle ultime
righe dall'autore per bocca del protagonista:
- Son già passato attraverso la migliore cernita della critica. Ho
letto le Memorie, prima dell'imbarco, al dott. Pilati.
- E lui?
- Il mio libro gli ha ricordato Virgilio, soltanto un po' più nervoso
nello stile.
Serafino Ponte Grande è un
grande “non-romanzo”, un “non-libro” campionatura di molti libri
possibili, evocativi di altrettanti generi letterari appena suggeriti per
essere tosto rinnegati, rimessi in discussione. Un libro che affascinò Fabrizio
De André influenzando la creazione del testo de “La domenica delle salme”,
musicata poi da Mauro Pagani. Fu in fondo alla sua copia del volume che De
André annotò di getto alcuni versi della canzone che nella stesura definitiva
riconosceva l'opera e l'autore brasiliano come fonte di ispirazione:
“A tarda sera io e il mio illustre cugino de Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile”
In un'intervista del 1990 De André diceva: “Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno
dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale
oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale
che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in
senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente
riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento.”
De André/de Andrade, erano due artisti ostinati a viaggiare in
direzione contraria.
Ma ecco un illuminante autoritratto dello scrittore estratto “a sorte”
dal Serafino:
“Oggi, in casa mia, posso cantare a gola spiegata la Vedova allegra,
togliermi le caccole dal naso, scorreggiare sonoro. Posso liberamente fare
tutto quello che mi pare contro la morale e la decenza.”
“Mi presento al lettore. Pelotarista (2). Personaggio dietro una
vetrata. Impermeabile e galoches. Certi militari hanno cambiato la mia vita.
Gloria agli uomini di fede! Là fuori, quando asciugherà la pioggia, ci sarà il
sole.”...
“Eccitato da aspettative, plausi e manfrine capitaliste, il mio genio
letterario si impantanò più volte nella trincea social-reazionaria. Logicamente
dovevo diventare cattolico. La grazia piove sempre sul bagnato. Ma quando già
ero in ginocchio (con Jean Cocteau!) davanti alla vergine e studiavo il
Medioevo di san Tommaso, un prete e un arcivescovo, in un mezzodì poliziato
della San Paolo affarista, mi sfilarono il portafoglio ereditato. Li acchiappai
appena in tempo per la tonaca. Ma, è umano, persi la fede. Rimasi nella
borghesia, della quale, più che alleato, fui vessillo cretino
sentimental-poetico.
Dalla
mia anarchia di fondo sgorgava sempre una sorgente sana, il sarcasmo. Servii la
borghesia senza crederci. Come il cortigiano sfruttato tagliava le ridicole
vesti del Reggente.
Il brasiliano a vanvera in balia dell'alta marea nell'ultima tappa del
capitalismo. Ballista. Opportunista e ribelle. Conservatore e sensuale. Sposato
per forza (in altra sede si definì: “monogamo successivo”). Preferisco
semplicemente dichiararmi nauseato di tutto. E con un unico obiettivo. Essere,
per lo meno, testa di ferro della Rivoluzione Proletaria.
Eroica missione per uno che è stato chierichetto, ha ballato la
quadriglia a Minas e si è travestito da turco a bordo.
Sia quel che sia. Impossibile tornare indietro. Il mio orologio va
sempre avanti. La Storia pure.”
Rio, febbraio 1933
Oswald de Andrade
(1) Rastaquero: Avventuriero
(2) Pelotarista:
giocatore di pelota
“La
battaglia non si perda...” qui posta a titolo, si ritrova in realtà in
epigrafe, in apertura di “Serafino Ponte Grande”.
“Memorie sentimentali di Giovanni Miramare” è stato pubblicato da
Feltrinelli nel 1970. “Serafino Ponte Grande” è uscito da Einaudi nel 1976. L'edizione originale di quest'ultimo portava, a tergo del frontespizio,
la seguente nota: “Diritto di essere tradotto, riprodotto e deformato in tutte
le lingue. San Paolo, 1933”.
Viene voglia di prenderlo alla lettera: dagli anni settanta ad oggi non
si è avuta purtroppo nessuna riedizione dei due volumi!
Ci vorrebbe davvero un bel coraggio a fare l'editore ai giorni
nostri...
la battuta finale ovviamente la sottoscrivo (direi che occorre andare oltre il coraggio, sconfinando nell'incoscienza....). in questo momento mi sto chiedendo quando trovi il tempo di scrivere tanto lussuosamente, con simile spreco di intelligenza e voluttà. ci sono alcune chicche da conservare nello scrigno delle gioie: la vita vissuta come un romanzo a stazioni disperse ecc. direi folgorante! il mio libro gli ha ricordato Virgilio, soltanto un po' più nervoso nello stile... indimenticabile! e De Andrè/De Andrade... e poi brasiliano a vanvera... e poi e poi e poi........
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