domenica 27 novembre 2011

Oswald de Andrade: La battaglia non si perda! E Cambronne rispose


Questo non è un saggio, non avrei i titoli neanche per un saggetto, ma un “invito all'assaggio”, un atto di devozione anarco-letteraria verso un autore che a ogni rilettura è capace di sorprendere la mia fantasia.

Profondamente colto, anticonformista, contestatore ante litteram, campione tenace dell'anarchismo letterario, José Oswald de Souza Andrade fu poeta, drammaturgo ma soprattutto narratore fra i più grandi e innovativi della letteratura brasiliana del novecento. Fu anche autore di acrobatici saggi anti-filosofici, La crisi della filosofia messianica, dove scompaginava e ricomponeva a suo modo marxismo, psicanalisi e neopositivismo, e di teorie letterarie evolutive del modernismo brasiliano, Manifesto Antropofago, in cui propugnava il ritorno della cultura del suo paese a una ideale purezza tropicalista precedente l'arrivo dei conquistatori europei (“Prima che i portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva scoperto la felicità”).
Oswald de Andrade sicuramente raggiunge i gradini più alti della sua creatività in due opere narrative di difficile collocazione perché buttano all’aria le sbarre di confine fra prosa e poesia, dapprima con Memorie sentimentali di Giovanni Miramare (terminato nel 1923 e pubblicato nel 1924) poi con Serafino Ponte Grande “scritto dal 1929 (era di Wall Street e Cristo) all'indietro” e pubblicato nel 1933. Forse però, l'apice della sua creazione fu la sua stessa vita, vissuta fino in fondo come un romanzo frammentato in stazioni disperse su vari continenti da un vento irrazionale.
Così Giuseppe Ungaretti (che già aveva tradotto la sua raccolta di poesie Pau Brasil, Legno Brasile) scriveva nella sua prefazione a Memorie Sentimentali (prefazione che da sola varrebbe la riedizione del volume): “Non so quale fosse la sposa che aveva impalmato in quei giorni, settima, undicesima oppure ventunesima. Non ebbero più donne Abramo, né Matusalemme né Noè messi insieme, che devono averne godute moltitudini per popolare o ripopolare questo pianetaccio, a differenza del povero Adamo che combinò tutto con la sola povera Eva, guai o miracoli che fossero, dipende dai pareri. Tra la moglie bambina e un quadro recente di Picasso che si baloccava tra le braccia, raccontava storie dell'altro mondo, un po' come fosse il Padre Eterno o il suo rivale da girarrosto. Aveva vissuto a Parigi, nababbo, non rastaquero (1), e vi aveva scoperto tutto, annusato tutte le puzze e tutti gli olezzi, fino al collo ficcato in tutte le trappole, uscendone indenne e bobo da bravo illusionista. Non aveva riportato in Brasile, sposa, come succedeva allora al sudamericano pingue di moneta quanto di corpo, la femmina che l'aveva adescato chissà in quale lupanare di Lutezia, carnosa, di connotati correggeschi già stuzzicante di libidine dal fugace adocchio.”
Giovanni Miramare ci attira in un labirinto epico in prosa e in versi, un'opera rivoluzionaria e provocatoria nella forma e nei molti linguaggi adottati, sarcasticamente inquadrata così nelle ultime righe dall'autore per bocca del protagonista:

- Son già passato attraverso la migliore cernita della critica. Ho letto le Memorie, prima dell'imbarco, al dott. Pilati.
- E lui?
- Il mio libro gli ha ricordato Virgilio, soltanto un po' più nervoso nello stile.

Serafino Ponte Grande è un grande “non-romanzo”, un “non-libro” campionatura di molti libri possibili, evocativi di altrettanti generi letterari appena suggeriti per essere tosto rinnegati, rimessi in discussione. Un libro che affascinò Fabrizio De André influenzando la creazione del testo de “La domenica delle salme”, musicata poi da Mauro Pagani. Fu in fondo alla sua copia del volume che De André annotò di getto alcuni versi della canzone che nella stesura definitiva riconosceva l'opera e l'autore brasiliano come fonte di ispirazione:

“A tarda sera io e il mio illustre cugino de Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile”

In un'intervista del 1990 De André diceva: “Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento.”
De André/de Andrade, erano due artisti ostinati a viaggiare in direzione contraria.
Ma ecco un illuminante autoritratto dello scrittore estratto “a sorte” dal Serafino:

“Oggi, in casa mia, posso cantare a gola spiegata la Vedova allegra, togliermi le caccole dal naso, scorreggiare sonoro. Posso liberamente fare tutto quello che mi pare contro la morale e la decenza.”
“Mi presento al lettore. Pelotarista (2). Personaggio dietro una vetrata. Impermeabile e galoches. Certi militari hanno cambiato la mia vita. Gloria agli uomini di fede! Là fuori, quando asciugherà la pioggia, ci sarà il sole.”...
“Eccitato da aspettative, plausi e manfrine capitaliste, il mio genio letterario si impantanò più volte nella trincea social-reazionaria. Logicamente dovevo diventare cattolico. La grazia piove sempre sul bagnato. Ma quando già ero in ginocchio (con Jean Cocteau!) davanti alla vergine e studiavo il Medioevo di san Tommaso, un prete e un arcivescovo, in un mezzodì poliziato della San Paolo affarista, mi sfilarono il portafoglio ereditato. Li acchiappai appena in tempo per la tonaca. Ma, è umano, persi la fede. Rimasi nella borghesia, della quale, più che alleato, fui vessillo cretino sentimental-poetico.
Dalla mia anarchia di fondo sgorgava sempre una sorgente sana, il sarcasmo. Servii la borghesia senza crederci. Come il cortigiano sfruttato tagliava le ridicole vesti del Reggente.
Il brasiliano a vanvera in balia dell'alta marea nell'ultima tappa del capitalismo. Ballista. Opportunista e ribelle. Conservatore e sensuale. Sposato per forza (in altra sede si definì: “monogamo successivo”). Preferisco semplicemente dichiararmi nauseato di tutto. E con un unico obiettivo. Essere, per lo meno, testa di ferro della Rivoluzione Proletaria.
Eroica missione per uno che è stato chierichetto, ha ballato la quadriglia a Minas e si è travestito da turco a bordo.
Sia quel che sia. Impossibile tornare indietro. Il mio orologio va sempre avanti. La Storia pure.”
Rio, febbraio 1933
Oswald de Andrade
(1) Rastaquero: Avventuriero
(2) Pelotarista: giocatore di pelota
“La battaglia non si perda...” qui posta a titolo, si ritrova in realtà in epigrafe, in apertura di “Serafino Ponte Grande”.

“Memorie sentimentali di Giovanni Miramare” è stato pubblicato da Feltrinelli nel 1970. “Serafino Ponte Grande” è uscito da Einaudi nel 1976. L'edizione originale di quest'ultimo portava, a tergo del frontespizio, la seguente nota: “Diritto di essere tradotto, riprodotto e deformato in tutte le lingue. San Paolo, 1933”.
Viene voglia di prenderlo alla lettera: dagli anni settanta ad oggi non si è avuta purtroppo nessuna riedizione dei due volumi!
Ci vorrebbe davvero un bel coraggio a fare l'editore ai giorni nostri...

1 commento:

  1. la battuta finale ovviamente la sottoscrivo (direi che occorre andare oltre il coraggio, sconfinando nell'incoscienza....). in questo momento mi sto chiedendo quando trovi il tempo di scrivere tanto lussuosamente, con simile spreco di intelligenza e voluttà. ci sono alcune chicche da conservare nello scrigno delle gioie: la vita vissuta come un romanzo a stazioni disperse ecc. direi folgorante! il mio libro gli ha ricordato Virgilio, soltanto un po' più nervoso nello stile... indimenticabile! e De Andrè/De Andrade... e poi brasiliano a vanvera... e poi e poi e poi........

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