martedì 31 gennaio 2012

Lo squillo della maîtresse


Per carità, non mi fate la morale! Alla mia età i ricordi risalgono a fatti oramai andati in prescrizione, così come la mia voce irrochita rimonta quei ricordi col gorgogliare preistorico di un geyser. Ho imparato a frequentare le case da ragazzo, ho continuato da giovane e proseguito fin che ho potuto e continuerei ancora oggi se la Senatrice Merlin non me le avesse abolite! Io ero conosciuto in tutte le case chiuse di Bologna. Eran diciotto o venti, le visitavo a rotazione, quelle di lusso, frequentate dalla Bologna bene, professionisti, professori universitari, come la casa di Via dell'Orso, fino ai casini della zona dei Mirasoli, dietro il tribunale, con il più economico che in Vicolo del Falcone attirava i facchini della Piccola con tariffe ridotte a Lire 5 per la Semplice, 10 per la Doppia, 15 per la Mezz'ora e 30 per l'Ora (che valeva la fatica e il costo di una settimana di lavoro). Andavo a prendere il caffè in Via Piella dove operava La Francese, l'aperitivo in Via delle Oche che alternava un repertorio esotico con l'Abissina, la Tripolina e la Bella Giarabub, perdevo il respiro con Mimì Bluette in Via Malcontenti, salutavo la Wanda, tenutaria di Via Polese, passavo in repertorio l'ultima quindicina in Via dell'Unione, correvo a cavallo della mia Bianchi in Via di Porta di Castello e poi in Via Bertolani. Ero giovane, ecco cos'ero! Postriboli, lupanari, bordelli - li chiamavano - casotti, casini, case chiuse, case di tolleranza, case di meretricio, case d'appuntamento: lì dentro c'era la parte bassa dei nostri sogni fatta carne. E alla mezzanotte del 19 settembre del 1958 questi sogni si sarebbero trasformati in memorie! per quello pedalavo, per ricordarmeli tutti. Davanti ai casini più belli i goliardi celebravano finte esequie con i ceri presi a prestito nelle chiese vicine; dentro i clienti più assidui davano l'addio alle signorine con il modo che meglio conoscevano, immersi nel fumo denso dei salotti. Raccogliendo le ultime marchette le “pensionanti” piangevano e ridevano: finiva la vita, cominciava la vita... Ultima mia tappa prima di mezzanotte dalla Marisona, che aveva due tette che ci volevano due tende di Menelik per contenerle, non piangeva né rideva lei, solo guardava lontano come se oltre la nebbia di quella notte ci fosse una qualche luce. E divideva gli incassi della sera con tutte le ragazze. Le chiesi in ricordo il campanello con cui chiamava in rassegna le pensionanti della nuova quindicina per l'affezionata clientela. Ogni tanto lo suono ancora per me quel campanello che richiama sogni senza più carne, ora che neanche l'elastico delle mutande mi tira più – con rispetto parlando – e se una vecchia sposa maliziosa mi offrisse le sue grazie sarebbe come pane croccante per uno sdentato: un'inutile, oltraggiosa forma di beneficenza.

Nessun commento:

Posta un commento