Per
carità, non mi fate la morale! Alla mia età i ricordi risalgono a
fatti oramai andati in prescrizione, così come la mia voce irrochita
rimonta quei ricordi col gorgogliare preistorico di un geyser. Ho
imparato a frequentare le case da ragazzo, ho continuato da giovane e
proseguito fin che ho potuto e continuerei ancora oggi se la
Senatrice Merlin non me le avesse abolite! Io ero conosciuto in tutte
le case chiuse di Bologna. Eran diciotto o venti, le visitavo a
rotazione, quelle di lusso, frequentate dalla Bologna bene,
professionisti, professori universitari, come la casa di Via
dell'Orso, fino ai casini della zona dei Mirasoli, dietro il
tribunale, con il più economico che in Vicolo del Falcone attirava i
facchini della Piccola con tariffe ridotte a Lire 5 per la Semplice,
10 per la Doppia, 15 per la Mezz'ora e 30 per l'Ora (che valeva la
fatica e il costo di una settimana di lavoro). Andavo a prendere il
caffè in Via Piella dove operava La Francese, l'aperitivo in Via
delle Oche che alternava un repertorio esotico con l'Abissina, la
Tripolina e la Bella Giarabub, perdevo il respiro con Mimì Bluette
in Via Malcontenti, salutavo la Wanda, tenutaria di Via Polese,
passavo in repertorio l'ultima quindicina in Via dell'Unione, correvo
a cavallo della mia Bianchi in Via di Porta di Castello e poi in Via
Bertolani. Ero giovane, ecco cos'ero! Postriboli, lupanari, bordelli
- li chiamavano - casotti, casini, case chiuse, case di tolleranza,
case di meretricio, case d'appuntamento: lì dentro c'era la parte
bassa dei nostri sogni fatta carne. E alla mezzanotte del 19
settembre del 1958 questi sogni si sarebbero trasformati in memorie!
per quello pedalavo, per ricordarmeli tutti. Davanti ai casini più
belli i goliardi celebravano finte esequie con i ceri presi a
prestito nelle chiese vicine; dentro i clienti più assidui davano
l'addio alle signorine con il modo che meglio conoscevano, immersi
nel fumo denso dei salotti. Raccogliendo le ultime marchette le
“pensionanti” piangevano e ridevano: finiva la vita, cominciava
la vita... Ultima mia tappa prima di mezzanotte dalla Marisona, che
aveva due tette che ci volevano due tende di Menelik per contenerle,
non piangeva né rideva lei, solo guardava lontano come se oltre la
nebbia di quella notte ci fosse una qualche luce. E divideva gli
incassi della sera con tutte le ragazze. Le chiesi in ricordo il
campanello con cui chiamava in rassegna le pensionanti della nuova
quindicina per l'affezionata clientela. Ogni tanto lo suono ancora
per me quel campanello che richiama sogni senza più carne, ora che
neanche l'elastico delle mutande mi tira più – con rispetto
parlando – e se una vecchia sposa maliziosa mi offrisse le sue
grazie sarebbe come pane croccante per uno sdentato: un'inutile,
oltraggiosa forma di beneficenza.
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