mercoledì 9 gennaio 2013

Ammazza la vecchia col Flit!


Ecco io non ce l’ho mica contro le mosche solo che proprio non le posso sopportare che in estate entrano dappertutto ma sono troppe e a cosa servono io le detesto come dice il mio babbo che neanche lui le può soffrire ma dice che con tutte quelle mosche intorno si sente come una merda di vacca! Lo so che i bambini non devono dire le parolacce ma pensare le possono pensare che i pensieri non son mica trasparenti e uno ci può vedere dentro e dire tu hai pensato una parolaccia che schifo! io le penso e le scrivo, così mi ricordo come si fa e ci ho tutto un elenco di parolacce scritte che qualcuna le ho sentite dai miei compagni come culo pistolino e passerina ma le più forti le raccolgo al mercato che ci vado con la mia bisnonna a fare la spesa e le ho divise in due colonne: quelle dei fruttaroli che sono molto fiorite perché loro ci sono abituati alla natura e quelle dei pollai che sono quei signori che vendono i polli morti che quelli vivi non è facile convincerli a farsi tagliare a tocchi ma le sue signore dei pollai quelle parole non le dicono che non sta bene e non fumano neanche ma le loro sigarette se le fumano tutte i suoi mariti che sarà per via del fumo che gli viene una bella fantasia a inventarsi le parolacce. Qualche volta si sentono anche delle belle madonne tipo quando a uno ci fanno cascare una cassetta di patate sui duroni che non son mica le ciliegie di quelle più buone che a mangiarne un chilo si può anche morire ma sono i suoi calli di quel tipo lì che lo fanno bestemmiare se ce li pestano. Ma però le madonne io non me le scrivo che non ha senso parlare male degli animali che ci hanno anche loro i suoi pensieri e magari ci hanno anche i calli che ci fanno male e sicuro se anche sapessero parlare mica griderebbero diouomo o donnamadonna! ma il più bestiale di tutti è il tripparo del mercato che come dice la mia bisnonna le spara proprio grasse che lui nella cacca ci lavora tutto il santogiorno ma le signore anche quelle col collo di pelliccia che la mia bisnonna dice che è tutto coniglio ma comunque le signore quelle con le sporte a rete e quelle ricche con le borse di pelle si fermano davanti al suo banco a ridere con una mano davanti alla bocca che qualcheduna non so perché finisce che piange e dice oddìo mammamìa mi scappa quasi perché il tripparo ci piace di avere un suo pubblico femminile e si gasa per quello anche se forse non si scrive così.
Alla fine mi sono perso dietro alle parole che è come lasciare aperta la finestra alla fantasia ma non come a scuola che il maestro ti controlla tutto e ti dice cosa stai pensando che non segui la lezione.
Ma mi sono ritrovato. Le mosche!
Mosche in cucina sulla tovaglia incerata e sulle sedie, un tappeto di mosche morte sparse come le figurine sul pavimento quando gioco a puntinissima ma qui sono punti neri da schivare saltellando a zoppagallina prima su un piede poi su l’altro che non mi da fastidio il croc delle mosche quando le schiacci ma perché si spatassano sotto le suole che quello è uno schifo davvero!
Adesso vi dico com’è che io gli sparo il Flit in aria che sembra nebbia e gli canto quel motivetto dell'aradio che fa ammazza la mosca col flit! ma qualche spiritosone dei miei amici dicono ammazza la vecchia col flit! che poi bisogna rispondergli e se non muore col gas! che questa risposta è uguale anche per le mosche ma quelle non fanno il coro e stecchite in volo cadono a piombo con un piccolo rumore quando toccano il pavimento che noi bambini lo sentiamo ma abbiamo le orecchie buone mica come quelle della mia bisnonna e le mosche sembra che non si accorgono nemmeno che finisce il loro tempo di volare. Qualcheduna atterra sulle zampe e fa qualche tentativo di tornare a volare ma poi decide che è meglio camminare ma poco e si arrende e si appoggia su un fianco ma finisce che tira le ultime zampettate all'aria.
La mia mamma dice che il Flit è un veleno ma bisognerebbe usarlo anche con attenzione che non si sa mica bene che cosa vuole dire ma siccome che le mosche muoiono tutte ma anche le zanzare vuol dire che quella nebbiolina puzzolente è di quelle che fanno male al nemico che nel nostro caso son le mosche ma anche le zanzare che poi sono anche peggio delle mosche che un conto è pizzicare altro è pungere. Il droghiere il Flit lo chiama DDT ma lo vende a bottiglioni che tanto a nessuno ci viene in mente di berlo che allora sì che muoiono anche gli uomini. Il droghiere vende tutto nei bottiglioni che dice che sono la sua unità di misura: la lisciva no che quella è in polvere ma varecchina per i bucati innevati sì e glicerina per i geloni invernali acido muriatico per sturare lavandini ma il Flit è la sua specialità che infatti il bottegaio non la vende mica. Lui dice che non fa mica male agli uomini che se facesse male non lo venderebbe. Come il ferramenta che vende chiodi bulloni e amianto, un materiale così speciale che se ci fai un paio di mutande allora ti puoi sedere anche sulla cucina economica accesa che non ti bruci neanche le chiappe ma comunque io non capisco perché mai a uno ci debba venite la voglia di mettersi a sedere proprio sulla cucina economica che al nonno ci serve da arrostire la polenta.
FINE DELLA STORIA scritta e pensata da me


NOTE DEL LETTORE PIÙ VECCHIO
Ammazza la mosca col flit è un tormentone divenuto popolare in Italia nel primo dopoguerra grazie alla pubblicità radiofonica del Flit, ovvero il DDT, insetticida d’uso comune nella case degli italiani che lo nebulizzavano con uno spruzzatore a stantuffo chiamato anch’esso per estensione Flit. Il cabaret se ne appropriò trasformandolo in un botta e risposta goliardico con cui spesso si chiudevano le gag:
Ammazza la vecchia col Flit!
E se non muore,... col gas!
La notorietà fu favorita dall’orecchiabilità di un motivetto in stile “comica finale”, due battute con sette note, da tempo molto famoso negli Stati Uniti, Shave and a Haircut, Two Bits
dove "Two bits” è un arcaismo che negli USA richiama i 25 cent, “a quarter dollar”. Come dire: “Barba e capelli, due soldi”.
La prima apparizione di questo motivo fu in un brano di Charles Hale del 1899, “At a Darktown Cakeworld”, ma l’accattivante simpatia “virale” della piccola melodia la fece entrar nel repertorio di molti musicisti come apertura e ancor di più come sigillo ironico trasversale dal jazz, rag, bluegrass fino al rock, riconoscibile in composizioni di Bill Murray, Dave Brubeck, Bo Diddley,...
Poi “Shave and a haircut” entrò nella sigla dei cartoon Looney Tunes della Warner Bros (Bugs Bunny, Duffy Duck, Titti,...) così il motivo dilagò per il mondo fino a diventare il suono irridente delle trombe di tante automobili e perfino un modo spiritoso di bussare alla porta.
Chi ha incastrato Roger Rabbit” lo riprese e lo rilanciò alle nuove generazioni alla fine degli anni ottanta.
Flit in inglese è “svolazzare” ma era anche l'abbreviazione di fly-tox (veleno per mosche), col tempo diventato un comune riferimento al primo e più diffuso degli insetticidi moderni, il DDT, acronimo di Dicloro-Difenil-Tricloroetano.
Il DDT fu utilizzato in modo intensivo su scala mondiale per debellare la zanzara anofele, portatrice della malaria, ma anche le pulci portatrici del tifo. Negli anni cinquanta Food and Drug Administration avanzò i primi dubbi sui rischi di cancerogenicità del prodotto per l'uomo. All'inizio degli anni settanta il DDT venne proibito negli Stati Uniti, alla fine della decade lo fu anche in Italia. È stato provato che il DDT è un inquinante organico persistente altamente resistente nell'ambiente ma anche negli animali e negli esseri umani attraverso la catena alimentare.
Amianto. Per lui parlano i morti, quelli che son già morti e quelli che moriranno nei prossimi decenni.








martedì 31 gennaio 2012

Lo squillo della maîtresse


Per carità, non mi fate la morale! Alla mia età i ricordi risalgono a fatti oramai andati in prescrizione, così come la mia voce irrochita rimonta quei ricordi col gorgogliare preistorico di un geyser. Ho imparato a frequentare le case da ragazzo, ho continuato da giovane e proseguito fin che ho potuto e continuerei ancora oggi se la Senatrice Merlin non me le avesse abolite! Io ero conosciuto in tutte le case chiuse di Bologna. Eran diciotto o venti, le visitavo a rotazione, quelle di lusso, frequentate dalla Bologna bene, professionisti, professori universitari, come la casa di Via dell'Orso, fino ai casini della zona dei Mirasoli, dietro il tribunale, con il più economico che in Vicolo del Falcone attirava i facchini della Piccola con tariffe ridotte a Lire 5 per la Semplice, 10 per la Doppia, 15 per la Mezz'ora e 30 per l'Ora (che valeva la fatica e il costo di una settimana di lavoro). Andavo a prendere il caffè in Via Piella dove operava La Francese, l'aperitivo in Via delle Oche che alternava un repertorio esotico con l'Abissina, la Tripolina e la Bella Giarabub, perdevo il respiro con Mimì Bluette in Via Malcontenti, salutavo la Wanda, tenutaria di Via Polese, passavo in repertorio l'ultima quindicina in Via dell'Unione, correvo a cavallo della mia Bianchi in Via di Porta di Castello e poi in Via Bertolani. Ero giovane, ecco cos'ero! Postriboli, lupanari, bordelli - li chiamavano - casotti, casini, case chiuse, case di tolleranza, case di meretricio, case d'appuntamento: lì dentro c'era la parte bassa dei nostri sogni fatta carne. E alla mezzanotte del 19 settembre del 1958 questi sogni si sarebbero trasformati in memorie! per quello pedalavo, per ricordarmeli tutti. Davanti ai casini più belli i goliardi celebravano finte esequie con i ceri presi a prestito nelle chiese vicine; dentro i clienti più assidui davano l'addio alle signorine con il modo che meglio conoscevano, immersi nel fumo denso dei salotti. Raccogliendo le ultime marchette le “pensionanti” piangevano e ridevano: finiva la vita, cominciava la vita... Ultima mia tappa prima di mezzanotte dalla Marisona, che aveva due tette che ci volevano due tende di Menelik per contenerle, non piangeva né rideva lei, solo guardava lontano come se oltre la nebbia di quella notte ci fosse una qualche luce. E divideva gli incassi della sera con tutte le ragazze. Le chiesi in ricordo il campanello con cui chiamava in rassegna le pensionanti della nuova quindicina per l'affezionata clientela. Ogni tanto lo suono ancora per me quel campanello che richiama sogni senza più carne, ora che neanche l'elastico delle mutande mi tira più – con rispetto parlando – e se una vecchia sposa maliziosa mi offrisse le sue grazie sarebbe come pane croccante per uno sdentato: un'inutile, oltraggiosa forma di beneficenza.

giovedì 19 gennaio 2012

Berta filava una stupida fòla


Io mica ci credo alle fòle,... provateci voi a passare le sere nella stalla a filare il canapone che viene il callo nel pollice e taglia la pelle dell'indice fino a sanguinare - pensava Berta mentre sua madre inventava le fortune che le sarebbero venute in futuro.
Tutte fòle, io non ci casco! Il bello arriva sempre alla fine, mica quando ne hai bisogno. Così noi restiamo qui a filare fame e pellagra e la mamma a condire le sue storie come polenta con bucce di patate... Che poi non c'abbiamo neanche un filarino bello e comodo, solo questo di legno di pioppo che ha fatto il babbo, col legno che non è buono neanche da bruciare, che ci fanno le cassetta da frutta. Il faggio che abbiamo tagliato l'anno scorso l'abbiamo messo a stagionare perché il mio babbo ci farà le sedie nuove che le nostre oramai son tutte scalcagnate.
La sera il babbo munge poi rifà la lettiera alle vacche, la mamma rammenda e mette le pezze a braghe e camicie, e s'inventa storie. Nella stalla c'è il caldo delle mucche, il loro odore, la casa è fredda come il bosco, solo i letti sono isole bollenti con la brace del prete.
Io non so ancora scrivere per potere ricordare i miei pensieri, ma un giorno lo farò. Ora mi girano nella testa, le parole rimbalzano ma non ne viene fuori niente, neanche un suono... La mia maestra dice che le storie della mamma sono vere, che un tempo c'era l’età feudale che i territori erano dominati da signorotti con il potere assoluto con ingiustizie e prepotenze. Insomma come oggi...
La mamma dice che tanti secoli fa una ragazza contadina che si chiamava Berta come me era così brava a filare un filo di lino così fino che in un rocchetto ce ne stava tanto da circondare dei campi interi.
E venne per quelle terre il re imperatore germanico Enrico IV della Franconia. Un tipo mica facile, che gli piaceva litigare con il Papa settimo col nome di Gregorio, così quello lo mise al suo posto con la scomunica, e il re andò a chiedergli perdono in ginocchio a Canossa, un castellotto che era su una collina da niente in provincia di Reggio nell'Emilia, ma con il Papa diventava una montagna difficile da scalare. Fu così che dopo tre giorni di penitenza del re imperatore il Papa lo perdonò. Ma Enrico IV ci ricascò a litigar col Papa che lo scomunicò nuovamente e lui per vendetta creò un antipapa, che faceva lo stesso mestiere del Papa però all'incontrario...
Poi Enrico il quarto andò a conquistare Roma e al ritorno accompagnato dalla moglie, la signora regina Bertha, si fermò a Padova a cambiare le acque alle terme, ospite dei Signori di Montegrotto.
In loro onore fu preparata una cena al castello e i contadini delle contrade portarono i loro doni, proprio come adesso che i poveri si occupano del benessere dei ricchi.
Anche Berta una giovane contadina portò in dono tutto quello che aveva: un gomitolo di filo di lino talmente fine che la regina non ne aveva mai visto uno simile. Il desiderio di Berta era che venisse liberato Raniero, il suo innamorato ingiustamente imprigionato. Nelle favole la regina si commuove sempre così concesse la grazia a Raniero e decise di assegnare alla contadina tanta terra quanta ne poteva contenere il filo donatole.
Quando le fanciulle delle contrade vennero a conoscenza del fatto, si precipitarono anche loro dalla regina con il loro filo, ma la bravura come la fortuna non sta dalla parte di tutti e poi mica si poteva privare il signorotto di Montegrotto di tutte le sue terre per fare contente delle contadine, così a tutte Bertha rispondeva “Non è più il tempo che Berta filava”.
Berta filava – racconta la fòla della mamma – filava un filo così fino che in un rocchetto ce ne stava a sufficienza per circondare alcune biolche di terreno.
Berta filava solo una stupida favola che ricominciava sempre uguale come quella dell'oca:
La fòla dell'oca
l'è bela s'lè poca.
T'l'hoi da contèr?
Vat' a mazèr!
La fola dell'oca / è bella se è poca / te la devo contare? / vatti a ammazzare!

lunedì 19 dicembre 2011

A me mi piace il cine


In verità quella volta io Missio e il Gorillino decidiamo di andare al cine. Missio così è rimasto che da piccolo non riusciva a dire Maurizio e dunque diceva Missio e quindi è Missio per tutti. Il Gorillino ci avete in mente un gorilla ecco lui è uguale solo piccolo ma è simpatico e neanche cattivo anche se da grande sarà peloso e sarà un operaio che gli operai sono tutti pelosi. Io niente lasciatemi perdere che potrei diventare cattivo meglio che sto con loro che ci capiamo al volo. Dunque il rischio di andare al cine è che si incrocia il prete che ti chiede perché non vai a messa a fare la carestia e le opere di carità e lo spiritosanto e cristo e la madonna di contorno ma il più grave è che trovi quelli di via Buffolara che ti aspettano che allora sono guai perché quelli tirano fuori le fionde quelle con gli elastici ritagliati delle camere d'aria dei camios che fanno più male i proiettili quanto ti beccano che in genere ci mettono le marolle delle albicocche o peggio delle pesche che son più grosse e arrivano che sembrano cannonate senò quando sembran buoni ci mettono dei chicchi d'uva rossa o dei pomodorini che ti arriva un proiettile e invece è una sbroda che si spatassa addosso e non va più via la macchia dai vestiti che poi è la mamma che ti dà il resto. Ecco. Allora quella volta io il Missio e il Gorillino decidiamo di andarci al cine ma prima ci armiamo bene che non si sa mica mai così se arrivano quelli là glie la facciamo vedere. Insomma tre fucili a elastico che dopo ti spiego come si fanno e come funzionano anzi te lo spiego adesso che se non li sai usare quelli sparano al contrario e ti ciecano un occhio minimo. Dunque prendi un bastone di legno quadrato e ci pianti un chiodo vicino alla punta come un mirino poi leghi dall'altra parte una molletta di legno di quelle da bucato che la mamma ce ne ha tante che una più una meno e la leghi con tanti giri di elastico poi gli fai altri giri con un altro elastico che stringa forte i denti della molletta quelli che devono tenere stretto un altro elastico ma mi sono perso. Ricomincio. Il colpo del fucile a elastico è un elastico che si fa con gli anelli di gomma di una camera d'aria di bicicletta incatenati insieme fino alla lunghezza giusta che tirati sono ben tirati fin che un poco il rosso della camera d'aria cambia colore e si sbianca. Ecco quella catenella di elastici la attacchi al chiodo nella punta del fucile e la tiri fino alla molletta che è il grilletto del fucile che la apri a fatica che è stretta dagli elastici e glielo blocchi dentro l'elastico da sparare. E quando schiacci che apri la molletta senti un suono come di calabrone che parte la catena di elastici e dove prende la pelle diventa viola subito. Ecco. Poi ci avevamo nelle tasche di dietro le fionde che non si sa mai che le forcelle le avevamo scelte bene fra i rami di gaggìa dietro la ferrovia dove andavamo a far gli acrobati sui rami nuovi di salice lungo i fossi. Le fionde noi gli abbiamo messo gli elastici rossi ritagliati dalle camere d'aria delle ruote da bicicletta che sono più morbidi e elastici di quelli neri da automobile che ci vuole più forza ma quelli rossi sono più veloci e arrivano più lontano. La culatta da metterci il proiettile quella sì può essere di camera d'aria da camios. Le cerbottane anche ci servono che se vuoi fare degli scherzi dai secondi posti come tirare sulla melona di quelli che stanno nei primi è forte che quando gli arriva il cono di carta ci restano male ma fortuna per loro che non ci mettiamo lo spillino nella punta. Allora arriviamo al cine noi tre coi fucili nascosti e le fionde e le cerbottane e tutto quanto e al posto della bigliettaia c'è il prete che gli diciamo i biglietti e lui mettete giù quella roba che non ne voglio più sapere ma sono quelli della via Buffolara gli dico e lui perdona il prossimo tuo che io mi guardo indietro e non c'è nessuno così che non so chi perdonare e mi dice non fare il furbo. Ecco io non sopporto di essere furbo che i furbi non sono mica intelligenti allora gli dico ai miei amici noi non ci andiamo più al cine e andiamo via. Così ho chiuso col prete e col calcio che sono la stessa cosa che dicono che è una fede. La sera ritorno con un cacciavite che tanto il prete la porta del cine non la chiude mai a chiave e svito una sedia e mi porto via una sedia che me la porto a casa che pesa ma bisogna stare attenti a come la prendi con le mani che sotto al sedile è piena di caccole sicuro e sopra rischia che ci sono appiccicate delle gomme da masticare che quando non sanno più di niente si attaccano sopra i sedili che poi si capisce se si siede un grande dalle madonne che tira quando si alza mentre le caccole il suo posto è sotto così seccano con calma. Ecco me la porto a casa e me la metto in camera che così il cine me lo sogno io senza biglietto e ancora ce l'ho in camera mia anche se son cresciuto che lì mi siedo a sognare e il film sono io. Che a me mi piace il cine. Ancora oggi. 

giovedì 8 dicembre 2011

La parrucchiera di Flash Gordon

Un misterioso pianeta punta dritto verso la Terra. La notizia sparge il terrore. Ignaro di quanto sta accadendo, un famoso campione di polo viaggia su un aereo quando un meteorite staccatosi dal pianeta assassino trancia di netto un'ala del velivolo facendolo precipitare. Il biondo sportivo non si perde d’animo, afferra un paracadute e si lancia abbracciando stretta la fascinosa vicina di posto dai capelli corvini. Prima che tocchino terra Cupido ha completato la sua opera ma a ingarbugliare gli eventi, già di per sé poco comuni, i due poggiano i piedi vicino all'osservatorio astronomico di uno scienziato che ha trovato un metodo originale per evitare la collisione tra i due mondi: lanciarsi alla guida di un razzo celeste contro il planetoide impazzito. Lo scienziato, che ha il cervello più in orbita che in sede, costringe i due neo-fidanzati a entrare con lui nel missile kamikaze.
Comincia così all’inizio del 1934 l’epopea di Flash Gordon, sulle pagine domenicali del New York American Journal, per mano del disegnatore Alex Raymond. Fino a quel momento relegato a matita di seconda fila, Raymond decide di fare ditta da solo riunendo in sé anche le funzioni di colorista, soggettista, sceneggiatore e crea il futuribile personaggio di Gordon per cercare di emulare lo straordinario successo ottenuto da Buck Rogers e Brick Bradford, eroi dei comics statunitensi di quegli anni. E Flash ci salta fuori bene, arrivando a surclassare nella fama i due illustri predecessori! Dopo tanto anonimato Alex Raymond raggiunse un grande successo popolare che resistette per decenni, con un primo periodo decisamente pionieristico e innovativo.
Ma andiamo per ordine: tutto ha inizio quando Mongo, pianeta diversamente affidabile, esce dalla sua orbita con la maligna volontà di buttare per aria il pianeta Terra. Flash Gordon e Dale Arden fanno coppia fissa fin da subito, entrando platealmente in scena. E’ il barbuto scienziato Dottor Hans Zarkov che li chiama alla ribalta coinvolgendoli in una folle odissea vero l’ignoto pianeta che per dieci anni sarà teatro delle loro avventure. Cosa sarebbe potuto capitare di peggio? Che la bella Dale pretendesse, come d'altronde fece, di portare con sé la propria hairdresser: non si affrontano le incognite di un viaggio intergalattico senza acconciature adeguate! - disse - Cosa avrebbero potuto pensare di lei le principesse dei popoli alieni che avrebbero incontrato? La coiffeuse avrebbe portato con se il minimo indispensabile: un solo baule di ferri del mestiere (bigodini forcine forbici pettini spazzole ferri per lo stiraggio a caldo ciotole bacili asciugamani lozioni shampoo tinture necessaires per manicure-pedicure,...) e uno straordinario casco per la permanente che fascinò di molto lo scienziato perché anche nel rombo vi intravide parentele coi motori del suo razzo (a parte il colore). Completavano il carico altri tre bauli con le intere collezioni dei principali fashion's magazines, quelli che lustravano gli occhi dell'americana media con le illusioni di vite da sogno, Women's Wear Daily, Harper's Bazaar, Vogue. Tempo ne avrebbero avuto le due signore per tenersi aggiornate sugli ultimi dettami della moda... Nel corso del viaggio, poi, anche la capigliatura ribelle di Gordon avrebbe beneficiato della parrucchiera galattica, ma alla fine cedette anche il burbero Zarkov.
Mongo si rivela abitato da vari popoli, arretrati o tecnologicamente avanzati, tutti sottomessi al perfido imperatore Ming. I terrestri si fanno partigiani della causa del Principe Barin, legittimo pretendente al trono di Mongo, sposo della figlia di Ming, la rossa e provocante Aura. Sarà lei la prima fra le maliarde donne di Mongo a farsi ammaliare dal fascino del bel terrestre e non cesserà di ordire trame per farlo suo. Ma non sarà l’unica ad alimentare la gelosia di Dale. Azura, la strega-regina dei magici Uomini Blu ricorrerà ai suoi filtri per far innamorare di sé Gordon togliendogli la memoria. E poi Undina, infida regina del Mondo Subacqueo e infine Fria, regina del Mondo di Ghiaccio dal cuore in fiamme per il biondo eroe. Fra un corteggiamento e l’altro le battaglie non si risparmiano e, alla faccia del futuribile prefigurato da Raymond, le armi utilizzate negli scontri sono spesso spade, pugnali e altra ferraglia da taglio. Negli anni Trenta la fantascienza è molto nei fondali e negli scenografici landscape popolati da luccicanti razzi celesti e torri che si ergono fra le nuvole come sviluppo fantastico del Chrysler Building o del suo antagonista Empire State Building.
Le avventure create da Raymond si affermano in un decennio quando, dopo la Grande Depressione, il New Deal Rooseveltiano lancia “the American way of life” e l’americano diventa “medio” (o aspira a diventarlo). A lui ammiccano riviste patinate che gli propongono elevazioni verso la upper-middle class da dove, alzandosi in punta di piedi, avrebbe potuto lanciare il suo american dream verso le stanze dorate dell’upper class.
Nel 1939 The New York World Fair, autoproclamata “Fiera del Futuro” prometteva di mostrare ai visitatori “il mondo di domani” e i comics, più ancora del cinema, ci davano dentro a spararle grosse sul futuro inventando mondi popolati da mostri ferocissimi, tiranni barbari e spietati, feroci guerrieri di stampo medievale. Nemici della democrazia e del progresso. Precoci avvisaglie dell'imminente Caccia alle Streghe dove gli alieni sarebbero diventati comunisti, sordidi abitanti della faccia opposta del mondo libero...

domenica 27 novembre 2011

Oswald de Andrade: La battaglia non si perda! E Cambronne rispose


Questo non è un saggio, non avrei i titoli neanche per un saggetto, ma un “invito all'assaggio”, un atto di devozione anarco-letteraria verso un autore che a ogni rilettura è capace di sorprendere la mia fantasia.

Profondamente colto, anticonformista, contestatore ante litteram, campione tenace dell'anarchismo letterario, José Oswald de Souza Andrade fu poeta, drammaturgo ma soprattutto narratore fra i più grandi e innovativi della letteratura brasiliana del novecento. Fu anche autore di acrobatici saggi anti-filosofici, La crisi della filosofia messianica, dove scompaginava e ricomponeva a suo modo marxismo, psicanalisi e neopositivismo, e di teorie letterarie evolutive del modernismo brasiliano, Manifesto Antropofago, in cui propugnava il ritorno della cultura del suo paese a una ideale purezza tropicalista precedente l'arrivo dei conquistatori europei (“Prima che i portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva scoperto la felicità”).
Oswald de Andrade sicuramente raggiunge i gradini più alti della sua creatività in due opere narrative di difficile collocazione perché buttano all’aria le sbarre di confine fra prosa e poesia, dapprima con Memorie sentimentali di Giovanni Miramare (terminato nel 1923 e pubblicato nel 1924) poi con Serafino Ponte Grande “scritto dal 1929 (era di Wall Street e Cristo) all'indietro” e pubblicato nel 1933. Forse però, l'apice della sua creazione fu la sua stessa vita, vissuta fino in fondo come un romanzo frammentato in stazioni disperse su vari continenti da un vento irrazionale.
Così Giuseppe Ungaretti (che già aveva tradotto la sua raccolta di poesie Pau Brasil, Legno Brasile) scriveva nella sua prefazione a Memorie Sentimentali (prefazione che da sola varrebbe la riedizione del volume): “Non so quale fosse la sposa che aveva impalmato in quei giorni, settima, undicesima oppure ventunesima. Non ebbero più donne Abramo, né Matusalemme né Noè messi insieme, che devono averne godute moltitudini per popolare o ripopolare questo pianetaccio, a differenza del povero Adamo che combinò tutto con la sola povera Eva, guai o miracoli che fossero, dipende dai pareri. Tra la moglie bambina e un quadro recente di Picasso che si baloccava tra le braccia, raccontava storie dell'altro mondo, un po' come fosse il Padre Eterno o il suo rivale da girarrosto. Aveva vissuto a Parigi, nababbo, non rastaquero (1), e vi aveva scoperto tutto, annusato tutte le puzze e tutti gli olezzi, fino al collo ficcato in tutte le trappole, uscendone indenne e bobo da bravo illusionista. Non aveva riportato in Brasile, sposa, come succedeva allora al sudamericano pingue di moneta quanto di corpo, la femmina che l'aveva adescato chissà in quale lupanare di Lutezia, carnosa, di connotati correggeschi già stuzzicante di libidine dal fugace adocchio.”
Giovanni Miramare ci attira in un labirinto epico in prosa e in versi, un'opera rivoluzionaria e provocatoria nella forma e nei molti linguaggi adottati, sarcasticamente inquadrata così nelle ultime righe dall'autore per bocca del protagonista:

- Son già passato attraverso la migliore cernita della critica. Ho letto le Memorie, prima dell'imbarco, al dott. Pilati.
- E lui?
- Il mio libro gli ha ricordato Virgilio, soltanto un po' più nervoso nello stile.

Serafino Ponte Grande è un grande “non-romanzo”, un “non-libro” campionatura di molti libri possibili, evocativi di altrettanti generi letterari appena suggeriti per essere tosto rinnegati, rimessi in discussione. Un libro che affascinò Fabrizio De André influenzando la creazione del testo de “La domenica delle salme”, musicata poi da Mauro Pagani. Fu in fondo alla sua copia del volume che De André annotò di getto alcuni versi della canzone che nella stesura definitiva riconosceva l'opera e l'autore brasiliano come fonte di ispirazione:

“A tarda sera io e il mio illustre cugino de Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile”

In un'intervista del 1990 De André diceva: “Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento.”
De André/de Andrade, erano due artisti ostinati a viaggiare in direzione contraria.
Ma ecco un illuminante autoritratto dello scrittore estratto “a sorte” dal Serafino:

“Oggi, in casa mia, posso cantare a gola spiegata la Vedova allegra, togliermi le caccole dal naso, scorreggiare sonoro. Posso liberamente fare tutto quello che mi pare contro la morale e la decenza.”
“Mi presento al lettore. Pelotarista (2). Personaggio dietro una vetrata. Impermeabile e galoches. Certi militari hanno cambiato la mia vita. Gloria agli uomini di fede! Là fuori, quando asciugherà la pioggia, ci sarà il sole.”...
“Eccitato da aspettative, plausi e manfrine capitaliste, il mio genio letterario si impantanò più volte nella trincea social-reazionaria. Logicamente dovevo diventare cattolico. La grazia piove sempre sul bagnato. Ma quando già ero in ginocchio (con Jean Cocteau!) davanti alla vergine e studiavo il Medioevo di san Tommaso, un prete e un arcivescovo, in un mezzodì poliziato della San Paolo affarista, mi sfilarono il portafoglio ereditato. Li acchiappai appena in tempo per la tonaca. Ma, è umano, persi la fede. Rimasi nella borghesia, della quale, più che alleato, fui vessillo cretino sentimental-poetico.
Dalla mia anarchia di fondo sgorgava sempre una sorgente sana, il sarcasmo. Servii la borghesia senza crederci. Come il cortigiano sfruttato tagliava le ridicole vesti del Reggente.
Il brasiliano a vanvera in balia dell'alta marea nell'ultima tappa del capitalismo. Ballista. Opportunista e ribelle. Conservatore e sensuale. Sposato per forza (in altra sede si definì: “monogamo successivo”). Preferisco semplicemente dichiararmi nauseato di tutto. E con un unico obiettivo. Essere, per lo meno, testa di ferro della Rivoluzione Proletaria.
Eroica missione per uno che è stato chierichetto, ha ballato la quadriglia a Minas e si è travestito da turco a bordo.
Sia quel che sia. Impossibile tornare indietro. Il mio orologio va sempre avanti. La Storia pure.”
Rio, febbraio 1933
Oswald de Andrade
(1) Rastaquero: Avventuriero
(2) Pelotarista: giocatore di pelota
“La battaglia non si perda...” qui posta a titolo, si ritrova in realtà in epigrafe, in apertura di “Serafino Ponte Grande”.

“Memorie sentimentali di Giovanni Miramare” è stato pubblicato da Feltrinelli nel 1970. “Serafino Ponte Grande” è uscito da Einaudi nel 1976. L'edizione originale di quest'ultimo portava, a tergo del frontespizio, la seguente nota: “Diritto di essere tradotto, riprodotto e deformato in tutte le lingue. San Paolo, 1933”.
Viene voglia di prenderlo alla lettera: dagli anni settanta ad oggi non si è avuta purtroppo nessuna riedizione dei due volumi!
Ci vorrebbe davvero un bel coraggio a fare l'editore ai giorni nostri...